Eternit, un film per ricordare le vittime dell'amianto

ROMA - E' la storia del rapporto tra un padre (Giorgio Colangeli) e un figlio (Marco D'Amore), che si ricuce intorno a una drammatica ingiustizia: quella di Eternit, la fabbrica che prometteva “eternità” - e che proprio da questa promessa trasse il nome per il suo prodotto – ma dispensava morte. “Un posto sicuro”, di Francesco Ghiaccio e Marco D'Amore (Indiana production), uscirà presto al cinema: le riprese sono terminate a febbraio, a Casale Monferrato. E' la storia di una vita spezzata, quella di un uomo ormai anziano, migrato dal sud al nord, abbagliato dalla lucentezza di quella promessa e dall'imponenza di quella fabbrica che, invece, lo avrebbe avvelenato. 

Una delle quasi 2 mila vite spezzate, soltanto a Casale Monferrato e nella provincia di Alessandria: veri e propri omicidi, prescritti e rimasti impuniti. Nessuno ha pagato, nessuno è stato risarcito. La Corte di Cassazione, il 23 febbraio scorso, ha tolto alle famiglie anche l'ultima speranza: quella di vedere i colpevoli puniti e la morte dei proprio cari riconosciuta come crimine. Perché l'amianto, oggi si sa, uccide: circa centomila le sue vittime ogni anno nel mondo, secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità. E si prevede che il picco massimo di morti ci sarà nei prossimi anni, tra il 2015 e il 2020. Se ne torna a parlare oggi, in occasione della giornata mondiale per la sicurezza del Lavoro, ma anche delle vittime dell'amianto: che sono, queste ultime, circa 4 mila ogni anno, soltanto in Italia, secondo i dati del Registro Nazionale Mesotelioma di Inail. 

Una vera tragedia collettiva, che “Un posto sicuro” prova a raccontare, attraverso gli ultimi giorni di vita di un operaio ormai molto malato, che fino all'ultimo chiederà giustizia, insieme ai suoi colleghi di un tempo, o alle famiglie di quelli che non ci sono più, uccisi prima di lui dalle scorie che hanno respirato. Le battaglie di Casale Monferrato e dei suoi cittadini sono sullo sfondo, mentre la narrazione si concentra sul rapporto tra Luca e suo padre, che rinasce proprio intorno all'attesa di una morte inevitabile: una morte dolorosa, preceduta da molte agonie, perché così si muore di amianto. Luca fa il pagliaccio alle feste: vive distante dal padre, non sa nulla della sua malattia, non c'è rapporto tra i due. Poi, un giorno, una crisi forte, una telefonata dall'ospedale e la presa di coscienza: Luca si trasforma in un pagliaccio triste, perde l'orientamento di fronte alla potenza di quel che sta accadendo: come un vortice, irrompe nella sua esistenza la vita del padre, il suo passato da operaio, con la fabbrica che da “mamma” si trasforma in matrigna, o in vero e proprio mostro. Da quel momento, Luca sceglie di stare accanto al padre, condividendone le sofferenze, le memorie e le battaglie. Perché Eternit era un inganno, non era il “posto sicuro” che sembrava e a cui in tanti, a Monferrato, avevano brindato. Ed è questo il dramma che il film porta sullo schermo: quello di un operaio e di mille operai, arrivati da tutta Italia richiamati dal bagliore di quella fabbrica e poi condannati a morte proprio da lei, a cui si erano consegnati senza riserve. Luca, alla fine, non sarà più un pagliaccio, ma un attore drammatico che veste i panni di suo padre chiede giustizia al posto suo e di tutti quelli che non possono più chiederla. 

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